THE HERITAGE OF DR. JERRY BUSS (L’eredità del dottor Buss)


Partiamo dalla fine della storia. Tra poche ore, a Portland in Oregon, LeBron James scenderà in campo vestendo la nostra maglia. Il miglior giocatore sulla faccia della terra ha firmato un contratto di 4 anni, il 2 luglio del 2018, con i Los Angeles Lakers. E’ lecito non credere ai propri occhi, o ipotizzare che sia accaduto qualcosa di simile a un miracolo. Io darò la mia interpretazione, non delle vicende intracampo, dei rapporti di forza o dei semplici X e O sulla lavagnetta, ma di come, secondo la mia modesta opinione, siamo arrivati a questo punto dopo un lustro di inattitudine e mismanagement.

Il dottor Jerry Buss, plenipotenziario, proprietario e capostipite dei Lakers, è scomparso nel 2013 dopo aver combattuto il cancro e aver vissuto una vita gloriosa. La sua morte e la rottura del tendine d’Achille di Kobe hanno accelerato violentemente un declino che nessuno, né in campo, né tra gli spalti, né alcuno di noi a casa poteva accettare. Siamo una fanbase oggetto di pregiudizi e spesso odiata perché siamo esigenti, a volte in modo soffocante. Siamo così perché quest’uomo ci ha abituati in questo modo. Ciò che Bill Simmons, uno dei nostri più grandi detrattori, chiama endless stream of superstars, una corrente interminabile di superstar, è passata da noi grazie a quest’uomo. 32 playoff centrati su 34 tentativi, 16 finali e 10 titoli NBA vanno accreditati esclusivamente sul suo conto.

Direte: e gli allenatori? E Kobe? Shaq? Magic? Kareem? E tutti gli altri? Bisogna fare una distinzione rigorosa tra due termini. Questi ultimi soggetti noti appena elencati sono gli architetti del successo, il dottor Buss ne è il demiurgo.

Fatta questa premessa linguistica, e detto che il Dottore è un personaggio famoso tra chi ha una minima infarinatura di basket, per arrivare alla tesi è necessario ricordare chi era, a grandissime linee, quest’uomo.

Gerald Hatten Buss era, prima di tutto, un grandissimo accademico. Figlio della Grande Depressione, visse l’infanzia e l’adolescenza sulla soglia della povertà e senza un posto che potesse chiamare stabilmente casa. Grazie alla sua brillantezza vinse una borsa di studio alla University of Wyoming, grazie alla quale ottenne anzitempo il Bachelor of Science in chimica. Perfezionò gli studi a L.A. (USC, Master of Science e Ph.D.) e iniziò la carriera come professore e ricercatore in chimica. La sua vera vocazione, il businessman visionario, la scoprì per caso – voleva arrotondare lo stipendio – investendo su un gruppo di appartamenti a West L.A.

Il resto della storia la conoscete tutti (o quasi). Ma ciò che ha costruito, ideato, pensato o solo immaginato non è arrivato per caso, come la sua vocazione, ma è stato forgiato grazie alla sua immensa e realmente pionieristica visione. Non starò qui a dirvi che ha inventato le cheerleader, o l’orchestra a palazzo, o che ha fatto venire migliaia di attori – capitanati dal migliore della sua generazione – al suo cospetto. Vi dirò invece la differenza tra lui e il vecchio proprietario, Jack Kent Cooke, da cui ha prelevato i Lakers nel 1979. Cooke voleva che i Lakers fossero il più grande spettacolo della città di Los Angeles, con i migliori giocatori, riuscendoci nonostante la concorrenza dei Rams nel football e dei Dodgers nel national pastime, oltre alle seguitissime squadre di college. Buss ha trasformato, con l’aiuto cruciale del personaggio nella foto, una partita di basket nel più grande show sulla terra. E’ riuscito a far trascendere lo stesso scopo per cui uno spettatore va al palazzetto, creando un evento che avesse una propria gravità e un proprio asse.

Va detto che senza l’avvento di Magic Johnson nel suo primo anno di presidenza, sarebbe stato quantomeno difficile realizzare appieno la sua visione. Uno dei caveat senza il quale il grande show non funzionerebbe è che per un entertainment al massimo livello va necessariamente abbinato un basket al massimo livello.

Qui entra in gioco Earvin Johnson Jr. da Lansing, Michigan, vero catalizzatore insieme a Larry Bird dell’ascesa meteorica dell’NBA negli anni ’80. Ma anche in questo caso, le vicende di campo le conosciamo tutti. Buss ha avuto sei figli (uno dei quali, Jeanie, è protagonista centrale della storia) ma possiamo dire senza problemi che Magic è stato il settimo. Il dottore lo ha preso sotto la sua ala protettiva e gli ha insegnato tutto, ma proprio tutto quel che sapeva a livello manageriale. Lo ha coccolato in campo (un contratto venticinquennale senza precedenti) e fuori (gite hefneriane notturne da antologia). Lo ha sostenuto durante la malattia staccando un assegno da 14 milioni, e lo ha reso parte integrante della società Lakers donandogli una parte delle quote. E’ stato allenatore (con risultati censurabili) ed oggi è presidente, fatto che ci riporta al presente.

Il colpo di stato operato da Jeanie Buss nei confronti del fratello Jim e del GM Mitch Kupchak, che ha chiuso definitivamente una saga familiare iniziata ben prima della morte del patriarca, ha riportato Magic (e Rob Pelinka, agente di Kobe) sulla ribalta del palcoscenico, in un ruolo di grandissima responsabilità e di altissima pressione, con una piazza di pessimo umore e ridottissime speranze.

Noi che lo conoscevamo soprattutto per i suoi Tweet paradossali, come una persona di mezza età che fatica a capire il funzionamento dei social network e dice tutto quello che gli passa per la testa, appena ha dichiarato a mezzo stampa e in modo assurdamente spavaldo che si sarebbe fatto da parte se non avesse portato nessun giocatore a L.A. nei seguenti due anni, in quel momento siamo impazziti. Neanche in campo lui, miglior playmaker della storia del gioco, si era preso un rischio così grande. E quest’uomo ha firmato Lebron James appostandosi fuori dalla sua casa (ingeneroso definirla casa) di Brentwood e convincendolo chissà come.

Anni di inadeguatezza, mediocrità e una generale impressione di crisi spazzati via in un sol colpo. Con flessibilità salariale anche per il 2019. Esattamente come aveva promesso. Ecco perché, se mi avete seguito fin qui, siete già arrivati alla conclusione della storia: la longa manus del dottor Buss è arrivata fin qui, ben oltre la sua dipartita, e ha lasciato il segno tramite il suo figlio adottivo e sua figlia Jeanie.

Nella sua effigie funebre è scritto “Devoted family man”. Un controsenso per chi ha vissuto metà della sua vita in luoghi di perdizione con chissà quali donne. E invece l’epigrafe ha catturato alla perfezione il suo vero scopo: La sua vera famiglia sono stati i Lakers. Tutti i figli hanno lavorato per i Lakers, chi bene, chi male, ma la sua visione è sopravvissuta alla sua morte e, grazie al suo figlio adottivo, rischia di diventare immortale.

(by Luigi Lakeshow)


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