Finale: USA vs. Spagna 107-100


 

Finisce come non poteva che finire: oro per il team USA

Alzi la mano chi non lo aveva pronosticato mesi e mesi fa. Giorno dopo giorno durante queste Olimpiadi di Londra è cresciuta sempre più forte la convinzione che questa squadra non potesse che vincere l’oro indipendentemente da quali avversarie avrebbe trovato sulla sua strada. Difficile pensare che la Russia o l’Argentina avrebbero potuto opporre una maggiore resistenza rispetto a quella strenua offerta dalla Spagna che ha avuto il pregio di rendere emozionante l’ultimo atto di questo torneo Olimpico. Nela viva speranza che dalle prossime Olimpiadi non si ritorni al vecchio formato di un team USA composto da soli under23, passiamo alla cronaca della finale.

La Spagna decide di schierarsi a zona dal primo possesso, affidando ai fratelli Gasol il presidio del pitturato e cercando in questo modo di togliere la soluzione della penetrazione o del pick and roll agli Stati Uniti. Il piano però sin da subito si rivela inefficace. Nonostante una discreta qualità media dei closeout degli esterni iberici, finchè la percentuale dall’arco degli avversari è irreale come nel primo quarto non c’è proprio speranza di essere avanti nel punteggio. E in effetti la squadra di Scariolo è costretta ad inseguire nonostante Navarro abbia le mani infuocate (10 punti in 3 minuti e mezzo) e l’attacco sia molto ispirato in termini di circolazione di palla. Mentre né Pau né Marc Gasol riescono a sfruttare i mismatch generati dall’uscita di Chandler, la loro presenza rallenta sensibilmente la reattività difensiva sopratutto quando la palla viene scaricata in angolo dal penetratore. Durant e Anthony ne approfittano più degli altri e sono tra i principali artefici del +8 di fine primo quarto.

La paura dello spettatore neutrale è che dal 35-27 l’equilibrio possa essere irrimediabilmente compromesso, ma fortunatamente gli spagnoli sono di idea diversa. Il tono fisico del match sale, cresce la tensione in campo (sfociata in un doppio tecnico Rodriguez-Chandler) ma non cala di una virgola l’efficacia offensiva delle furie rosse. Battere la difesa di coach K è complesso, occorre avere pazienza per farla muovere e costringerla a correre da una parte all’altra ribaltamento dopo ribaltamento. Ci vuole dunque un ottimo Sergio Rodriguez in cabina di regia, un lungo dalle mani sopraffine come Pau, e una batteria di tiratori pronta a colpire. La Spagna ha tutto questo e lo fa vedere.
Al contrario, Durant si ritrova a sbagliare più di qualche tiro comodo (4 errori di fila) e qualcosa nell’ingranaggio americano si spezza. Quando l’attacco smette di girare in maniera così brillante è inevitabile che cali qualcosa anche in termini di intensità difensiva ed ecco che avviene il parziale spagnolo di 15-6.

Scariolo insiste, giustamente, con la zona, visto il crollo delle % da 3 avversaria, ma la coperta è sempre corta: fioccano i rimbalzi offensivi di James e di Love, anche per l’assenza di Marc Gasol che commette un prematuro quarto fallo a metà secondo quarto. Fioccano dunque i secondi tiri e questo permette al team USA di chiudere con 24 punti nel periodo nonostante il 6/15 dal campo. La morale della favola è che c’è equilibrio, c’è tensione, c’è una finale degna di questo nome. 59-58 USA all’intervallo.

Nel terzo quarto lo spettacolo sale ulteriormente di colpi e a prendere il proscenio come indiscusso protagonista non è Bryant, né Durant né James: è Pau Gasol. Il catalano ci mostra tutto il campionario del suo spaventoso arsenale: ganci, semiganci, rimbalzi offensivi, schiacciate sul roll, assist per l’altro lungo in mezzo all’area, rimorchio in contropiede. Il tabellino è di quelli da ricordare: 15 punti uno più bello dell’altro e 6/6 dal campo.
Ma se lo spettacolo diventa francamente entusiasmante è anche merito della grande intensità delle due difese che genera tanti recuperi e mantiene il ritmo di gioco frenetico. Bryant e Durant si trovano perfettamente a loro agio in questo contesto ed è solo grazie a loro se la killing spree di Pau non ha effetti decisivi sul punteggio. Il terzo periodo si conclude in perfetta parità e ci consegna un ultimo periodo da sogno.

Gli ultimi dieci minuti iniziano, come comprensibile, con le squadre che tirano un po’ il fiato. Scariolo deve far riposare Pau ma la sua assenza in campo è pesante e da un punto di vista tecnico e da un punto di vista psicologico. Come spesso accade infatti quando una squadra si affida per tanto tempo di fila ad un solo giocatore, quando poi questo esce si fa fatica a ritrovare le esecuzioni giuste in attacco. Fatica che invece non fa il team USA, non può farla mai con una squadra così. Ci pensa Chris Paul con due canestri e un assist per (il solito) KD a firmare un parziale di 8-0 che a questo punto della partita è destinata a pesare come un macigno. Si discuterà su chi possa essere stato alla fine del match l’MVP della gara, ma a mio modo di vedere questi tre minuti di CP3 in cui viene scavato il solco decisivo valgono il riconoscimento finale.
I due fratelli catalani devono precipitosamente rientrare in campo per fermare l’inerzia. Scariolo però non si limita a cambiare i suoi uomini, ma prova a cambiare le carte da un punto di vista tattico: individuato in Durant il pericolo principale decide di mettere un uomo fisso su di lui e sistemare gli altri 4 difensori a zona (difesa box and one). Per la verità Durant smette di segnare, ma il problema sono gli altri. In particolare, il problema vero si chiama Lebron Raymond James. Prima schiaccia in penetrazione umiliando Gasol sul primo passo; il possesso dopo segna una tripla pazzesca senza ritmo. Possono partire i titoli di coda: è oro!

Boxscore

g.m.

 

 


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