Cinque ratti in Paella


Al solito nessuno muove un dito per il bene di questa comunità, per cui tocca sempre ai fuoriclasse cercare la giocata che rivitalizzi la squadra, dia speranza nella partita, restituisca entusiasmo ai tifosi. E così, come il miglior Steve Blake, cerco di buttare giù qualche riga sui Lakers di queste due prime settimane di regular season.

Be’, che dire? Tutto secondo i piani, anche meglio. Forse troppo? Non c’è dubbio che i tifosi più sfegatati del tanking siano rimasti delusi da questo inizio 3-4, disillusi già dalla prima gara stagionale, l’epica piallata ai danni di Doc “keep puhin’ that rock!” Rivers e quella banda di sfollati che si porta appresso in giro per la lega, guidati da un fuoriclasse che è sempre bene ricordare dovrebbe oggi vestire la maglia gialloviola. I Lakers 2013-’14, signore e signori, giocano a basket. Quantomeno ci provano. Diciamo che in qualche modo competono. Insomma, non stanno lì a guardare gli altri piallarci tra una litigata, una sbuffata e un infortunio. I motivi? Probabilmente quelli che sostenevano i più ottimisti all’alba della stagione: un roster più adatto al “basket di D’antoni”(!?); tanti giocatori giovani, con voglia di dimostrare e se Dio vuole con un po’ di atletismo e infine niente, un po’ di culo.

Ma cosa ha permesso veramente a questi Lakers di ottenere ben tre vittorie nelle prime sette partite (mannaggia sto pezzo lo volevo scrivere venerdì ma non ho avuto tempo, staremmo parlando di un record al .500 prodigioso)? I Ratti. Nient’altro che i ratti. Questa specie animale per anni al centro di ogni discussione che Bryant metteva in terra su Lakersland, una specie di giocatori così assente dal nostro roster, ma una specie animale invece così presente nella mia cantina, al punto da ritrovarne ogni tanto qualche scheletro perfettamente integro, che farebbe pensare a un dinosauro in miniatura, ma questa è chiaramente un’altra storia. Henry, Johnson, Meeks, Hill e il redivivo Farmar hanno portato energia inaspettata, punti imprevedibili e una bella dose di voglia mista a entusiasmo; sarebbe bello nominare anche Nick Young, angeleno lakersiano come Farmar, ma l’apporto del principale acquisto estivo è ancora al di sotto delle attese createsi alla sua firma.

Pur con una presenza impalpabile nella vittoria a Houston, The Great King Rat di queste due settimane è indubbiamente Xavier Henry da non so quale college e non mi va di controllare. Il ragazzo si aggiudica il premio viste soprattutto le premesse: chiamato al camp solo per far numero, si è conquistato un posto in roster prima e in rotazione poi durante la preseason. Quello che è successo dopo lo sappiamo tutti: nell’opener esce dalla panca nel derby e ridicolizza tutti gli avversari che gli si pongono davanti, che si tratti di mozzarelle da Duke, di guappi di cartone come Barnes, o della merdina complice del Gran Rifiuto di Stern. 22 punti e 6 rimbalzi in totale trance agonistica, mentre Snake accendeva il cero sotto il tempietto dedicato a Van Exel gridando a tutta Milano che finalmente il Profeta era nuovamente sceso tra di noi. Bissa nella vittoria con gli Hawks, 18 punti che gli fanno provare l’ebbrezza di essere il miglior marcatore dei Los Angeles Lakers dopo le prime quattro sfide annuali.

Jordan Farmar si conquista la piazza d’onore, sarà perché il confronto con quello che avevamo lasciato andare via è folgorante, anche se c’è da dire che il suo impatto è amplificato dal dare il cambio alla peggior point guard titolare della storia dei Lakers (dico sul serio, trovatemi uno starter in point guard più insignificante e inutile di questo tizio qui in tutta la nostra storia. Non azzardatevi neanche per scherzo a nominare Sedale Threatt). Il ragazzo è tornato con una voglia matta di Lakers, finalmente consapevole del suo ruolo, ci vince il derby in scioltezza, fa il suo con gli Hawks ed è ottimo contro i Rockets nella vittoria che tutti volevamo. (Se non si fosse capito sto analizzando solo le tre partite vinte…)

Al terzo posto va Jodie Meeks. Un giocatore che continua a non piacere, ma che se in ritmo, o quantomeno in giornata, fa sempre canestro e questo è indiscutibile. Bene, finora è stato spesso in giornata, e quindi bravo lui. Un giorno ci spiegherà perché continui a mettere palla in terra finendone sempre scippato come una vecchietta fuori le Poste.

Jordan Hill e Wesley Johnson vanno di pari passo. Probabilmente il lungo (e sai che sforzo…) e l’esterno più atletici e vitali a roster. Ogni maledetta partita danno tutto quello che hanno, nel caso di Hill è più giusto dire ogni maledetto minuto, visto che D’Antoni lo vede come quando su Doom avevi l’arma supercazzuta che dovevi giocarti con calma altrimenti finivi senza quando davvero ti serviva e sei fottuto. Peccato che Hill li possa reggere più di 12 minuti. Johnson ha iniziato come al solito a non fare canestro al tiro neanche mirando una vasca da bagno, ma poi messo in ritmo nel meraviglioso attacco di D’Antoni ha iniziato anche a segnare qualche tripla (tre nell’impresa di Houston), dimostrandosi poi il miglior difensore sugli esterni a nostra disposizione.

 

Menzione d’onore per Stevie Showtime. Non devo aggiungere altro. Voi sapete. Tutti.

 

Peccato che questa splendida sagra di ratti sia rovinata da quell’olezzo di paella andata a male che è oramai diventato Pau Gasol. Il signorino che si lamentava che le percentuali erano basse perché il post non era libero, poi col post libero si è messo a tirare da fuori e ovviamente le percentuali sono basse e per due soldi un ratto non ci portò. L’impatto offensivo è pari a quello di Sandro Tonolli dei bei tempi; quello difensivo invece è impatto di altissimo livello, per gli attacchi avversari. Poi quanto ti fa incazzare quando lo vedi grasso come Ryan Kelly che non ci mette un minimo di voglia, di palle, di cuore, non ci mette un cazzo. Non tiene neanche più un pallone in mano, in compenso fuori dal campo è sempre numero uno: l’arroganza di Conte, la simpatia di Mazzarri, la spocchiosità di Mourinho mentre ci racconta di come tiene in pugno questa squadra e di come l’allenatore non capisca nulla e il managment dovrebbe allungargli un contratto ancora più remunerativo. Il suo atteggiamento altezzoso ci rovina tutta la magia dei ratti, tenendoli ostaggi nella sua padella. Dove cuoce la paella.

Devo veramente parlare di Steve Nash? Probabilmente sì. Perché dobbiamo avere pietà di quest’uomo che di pietà non ne ha né verso se stesso, né tantomeno verso i tifosi? Non gioca i back to back, non gioca neanche le altre veramente. Non segna mai, non batte più nessuno dal palleggio, butta palloni tutte le volte che vuole provare a fare un passaggio più semplice di quello per il compagno a due metri di distanza e in difesa si fa deflorare come Houston nella famosa Ganbang 500 (poi diventata 620).

E allora qualche motivo per vedere i Lakers lo abbiamo trovato anche quest’anno grazie a questi ratti. Come sono i nuovi? Chi possiamo tenere per il futuro? Come saremo quando torna Kobe? Dobbiamo essere contenti delle vittorie? Contro i Rockets e i Clippers sì, sempre. Nash e Gasol continueranno davvero per tanto ad abusare della nostra pazienza, più di Catilina?

Nel frattempo navighiamo a vista, di più non si può fare. Godiamoci il buono, divertiamoci se arriva qualche soddisfazione e non disperiamoci delle sconfitte che anche scegliere bene a sto draft non è certo una sciagura.

 

p.s.

sucacelo tutto, Dwight.


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