Ciao, Shaq.


“We did it.” 

Con un video lungo una quindicina di secondi è arrivato martedì sera il saluto al basket di Shaquille O’Neal. Scanzonato e sorridente, cialtrone ed irriverente, anche nel momento dell’addio. Perché Shaq è stato, oltre che in  campo, anche fuori  il più grande: nessuno come lui ha divertito gli appassionati di questo sport con un repertorio infinito di gag e battute. Dalle recenti sfide con i campioni dello sport americano, alle storiche apparizioni da Jay Leno o David Lettermann., passando per le canzoni dedicate a Divac dopo gara 7 del 2002. Racconta Federico Buffa che, dopo averlo visto con un cappello leopardato durante l’All Star Game di Philadelphia, accompagnato da una decina di gentili signorine, le uniche parole che fu in grado di pronunciare a quella vista sono state “Salve, Maestro!”.

 La sua carriera comunque, prima del triennio d’oro, non è stata facilissima. Entrato in NBA nel 1992, da subito si portava dietro etichette pesanti come l’essere indicato da tutti come il “nuovo” Wilt Chamberlain. Rookie dell’anno nel 1993 ad Orlando, al suo secondo anno centrò già i playoffs ed al terzo addirittura giocò la sue prime finali NBA, prima di essere sweeppato 4-0 dai Rockets. Otto lunghi anni per la scalata al potere, 6 dei quali terminati nel modo peggiore e cioè subendo uno sweep.

  Nell’estate 1996 fece scalpore il suo addio ai Magic dopo la brutta eliminazione a spese dei Bulls di Jordan e soprattutto la lite con il g.m. John Gabriel reo confesso di non volergli dare lo stesso contratto di Penny Hardway.  Quella volpe di Jerry West non perse un attimo e lo portò ad L.A. insieme ad un Kobe appena maggiorenne: i due sarebbero diventati, secondo l’intuizione geniale di Mr. Logo, la nuova coppia in grado di dominare la Lega.

Passano comunque quattro lunghissimi anni nel marasma generale gialloviola: tanti soldi spesi, ma confusione in panchina e nello spogliatoio. Una disorganizzazione totale che riesce a rallentare persino la crescita di Bryant e quello che è a tutti gli effetti già il miglior centro della Lega, inserito tra l’altro nel 1997, durante l’All Star Weekend di Cleveland, già tra i primi 50 giocatori della storia. Il rapporto tra i due comunque è già sottoposto a difficilissimi test di sopravvivenza. Kobe fatica ad accettare di dover dare continuativamente palla a Shaq con quest’ultimo comunque sempre irritato dalle crescenti tendenze individualistiche del giovane fenomeno. Ma i due sapevano che per vincere avrebbero dovuto convivere, “Più giohiamo assieme e più impareremo a giocare insieme”, ripetevano. Nessuno può dargli torto.

 L’estate del 1999, quella dell’arrivo di Phil Jackson a L.A., voluto manco a dirlo proprio da Kobe e Shaq, i due costruirono le basi per la “santa alleanza” durata nelle successive stagioni. Nel giugno di quell’anno Shaq andò da Jerry West e gli disse che se fosse rimasto Rambis sarebbe andato via lui. Dopo l’annuncio dell’arrivo di Jackson, Shaq lo andò a trovare nel Montana. Passò qualche giorno con il suo futuro coach tra un bagno in piscina e lavori domestici, si racconta che O’Neal rimosse persino un albero che infastidiva il maestro Zen. Era chiaramente un segnale che, da quel momento in poi, avrebbe fatto qualsiasi cosa Jackson gli avesse chiesto. L’ordine di Phil era chiarissimo: sarebbe diventato il miglior giocatore del mondo, si sarebbe presentato dimagrito al trainig camp  e soprattutto sarebbe andato d’amore e d’accordo con Kobe. Alla festa del ventunesimo compleanno dell’allora numero 8, O’Neal fu incoronato ospite d’onore. Probabilmente il loro rapporto da quel momento in poi visse il periodo più felice.

 Kobe e tutti i Lakers, nonostante il rapporto di odio amore con la triangolo, impararono presto a conoscere il segnale giusto: “Se Shaq mi dice che occuperà una posizione molto profonda in post basso so che per l’avversario sarà una lunga notte. Perché lui sa trattare la palla come nessun altro lungo, ma il suo è un gioco anche di potenza”. In quei tre anni, dal 1999 al 2002, l’espressione spendere il gettone era praticamente sconosciuta ad O’Neal: 29 di media con più di 12 rimbalzi in stagione regolare, quasi 30 e 14 ai playoffs, un giocatore infermabile per qualsiasi avversario o squadra.

“Mi piace abusare dei miei avversari, soprattutto di quelli che hanno la presunzione di marcarmi uno contro uno”, disse Shaq durante le Finals 2001 parlando di Dikembe Mutombo, probabilmente il miglior lungo difensivo dei tempi, spazzato via come un bambino dallo strapotere del 34 gialloviola. Cadeva il centro africano, più che nel tentativo di ottenere un fischio favorevole per la dominanza del nemico e mentre si rialzava doveva pure sopportare il trash talking di O’Neal: “stand up and play me like a man”.

Importava poco al resto della Lega del paragone continuo ( e per chi scrive, anche corretto in quegli anni ) tra Kobe e Jordan, tanto fin quando c’era “The Diesel” tutti sapevano che si sarebbe giocato solo e soltanto per il secondo posto. Gli avversari? Gli Spurs delle Twin Towers, i Blazers di Sheed ed i Kings di Chris Webber, nessuno aveva la forza necessaria né la freschezza per poterlo infastidire.

 La verità è che per tre anni nessuno dominò come quei Lakers. Imbattibili per tutti. L’onnipotenza di Shaq, ma anche la sapienza di Jackson in cabina di controllo insieme con fantastici pezzi di un puzzle vincente: giocatori che sapevano fare la differenza come Fisher, Horry, Fox e Brian Shaw. Il tutto mixato con “il miglior giocatore del mondo”, così proprio O’Neal aveva definito Kobe all’indomani delle scorribande contro gli Spurs nel maggio 2001, anche se poi a metà giugno a ricevere il titolo di MVP delle Finals, per tre anni consecutivi era sempre e soltanto il 34, l’unico insieme a Jordan a vincere tale riconoscimento in tre Finals di fila.

 Una superiorità fisica, ma altrettanto tecnica, sul resto del mondo non si vedeva probabilmente dai tempi del Jabbar della UCLA di coach Wooden o di George Mikan negli anni ’50. Al primo per limitarlo dovettero proibire di schiacciare al college, per il secondo inventarono l’area dei 3 secondi; ci provò Sports Illustrated dedicando un servizio all’inarbitrabilità di O’Neal sostenendo improbabili teorie sulle sue gomitate o sederate, soltanto fumo, così come l’abolizione della difesa illegale da parte della Lega.

 Soltanto quella squadra avrebbe potuto fermare quella squadra. Soltanto il fisico ed un ego smisurato fermarono Shaq.

Dopo il titolo del 2002 qualcosa si ruppe tra il 34 ed i Lakers. Lentamente iniziò il lungo declino della carriera di O’Neal. Prima i problemi all’alluce, poi le bizze contrattuali con gli insulti a Buss durante la preseason. Due anni ricchi di litigi con Kobe e soprattutto avari di successi: Shaq capì che la franchigia avrebbe puntato per ovvi motivi di età soltanto su Bryant per il futuro, senza mai accettare quella scelta. A 32 anni, nel giugno 2004, fu protagonista della trade più importante della storia NBA. Fallito un tentativo disperato di riconciliazione tra le sue due star, alle quali fu proposto all’indomani del secondo ritiro di Jackson l’arrivo di Pat Riley, è lo stesso coach dei Lakers dello Showtime a portarsi Shaq in Florida.

 Finisce così la carriera gialloviola di Shaq. Negli anni seguenti viene ricordato da noi gialloviola molto più per i suoi rap velenosi nei confronti di Kobe che per quanto fatto in campo, nonostante un titolo vinto, non più da primo violino a Miami.

 Fino allo scorso martedì, chi scrive, ha tremendamente sbagliato a non ricordarlo per quanto fatto in campo per i Lakers. Alla fine però, guardando quei 15 secondi su twitter, la mente è tornata, inevitabilmente e per fortuna, ai ricordi più dolci. Alle prime dirette dei Lakers, alle tarde primavere ed inizi di giugno passati sull’allora Telepiù  tra un allarme del parcheggio ed una Kobe-Shaq redemption. Quelli sono stati, forse, i Lakers più forti della storia ed il loro leader, nonostante qualche errore di troppo, ha lasciato noi ed il basket 4 giorni fa.

Ora lo posso confessare: la prima maglietta dei Lakers che comprai era la trentaquattro gialla.

 Ci mancherai tantissimo, Shaquille.

 (f. r.)


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Lakersland.it © 2006-2022