Scott: la peggior scelta possibile


In Nba i tempi sono cambiati, e con essi anche il prestigio e la considerazione delle migliori squadre di ogni epoca. Per quanto concerne i Lakers, a oggi, non si può far che altro che dare un semplice sguardo al futuro. Le prospettive, in un certo senso, sono rosee, date le ultime aggiunte arrivate dal draft: giovani di grande potenziale, che molto probabilmente andranno a costituire le fondamenta del futuro prossimo lacustre; ragion per cui non mancherebbero i motivi per essere ottimisti. I Lakers sono reduci da quattro annate decisamente deludenti, il lasso di tempo tra i bassifondi della lega più lungo della gloriosa storia di questa franchigia.

Nel giro di cinque anni sono passati da El Segundo tre allenatori, uno peggio dell’altro, chi più chi meno sotto diversi aspetti. L’ultimo arrivato, Byron Scott, componente degli anni dello Showtime Lakers, è al secondo anno sulla panchina, e obiettivamente ha portato poco e nulla alla causa, non è riuscito a inculcare una mentalità vincente, a instaurare un sistema di gioco credibile, sia dal punto di vista offensivo che da quello difensivo, tant’è che la passata stagione i Lakers hanno raggiunto, per un brevissimo lasso di tempo, il peggior defensive rating della storia della lega (dopo le prime sei partite la statistica registrava un eloquente 122) . Insomma, un aspetto per cui sicuramente non si verrà ricordati con piacere ed entusiasmo. I numeri parlano chiaro: stagione regolare 2014-15 chiusa al 29esimo posto sia per punti segnati che per punti subiti. Quest’anno l’andazzo è esattamente lo stesso: dopo quattro mesi di stagione i Lakers hanno il peggior defensive rating (110.0) e il penultimo offensive rating ( 99.8 ), non riuscendo a vincere e convincere, ma esprimendo un basket fatto di sole individualità, zero idee e con spaziature ai limiti dell’indecenza. Nonostante sia sempre stato considerato come allenatore prettamente difensivo, le ultime cinque esperienze come coach per Scott a livello statistico, esclusa quella di quest’anno, smentiscono questo luogo comune con i ranking difensivi di fine stagione:

09-10 NOH: 22

10-11 CLE: 29

11-12 CLE: 26

12-13 CLE: 27

14-15 LAL: 30

 

Con la stagione corrente pronta a essere la sesta consecutiva tra i peggiori della lega dal punto di vista della difesa di squadra. Zero princìpi e anche qui tutto affidato alle sole individualità.

Discutibile soprattutto la gestione dei giocatori, in particolar modo il trattamento riservato ai giovani, che lascia facilmente spazio a critiche. Scott predilige affidarsi ai veterani piuttosto che permettere lo sviluppo migliore possibile per i rookie/sophomore lasciandoli in panchina nei quarti finali con la partita ancora in bilico, o ancor peggio sostituendoli nonostante questi siano in uno stato di semi-grazia, impedendo inoltre il loro utilizzo in garbage time per la scarsa competitività dell’evento. Da tutto ciò viene fuori che i giovani hanno molte volte dei minutaggi risibili, con sostituzioni eseguite con il cronometro e mai ragionate in base a quello che sta realmente accadendo sul campo, dimostrando quindi una scarsa capacità nel leggere i momenti della partita.

Come se non bastasse, a inizio stagione ha rilasciato alcune dichiarazioni che hanno fatto discutere e messo in subbuglio l’ambiente, provocando anche alcune discussioni tra i giocatori nello spogliatoio e in campo. Uno degli esempi più eloquenti riguarda una dichiarazione rilasciata il 5 novembre, in cui affermò di dare più importanza alle vittorie che allo sviluppo dei giovani a roster; due cose comunque assimilabili, con il secondo che costituirebbe un processo importantissimo per tornare ai ranghi di contender nel minor tempo possibile.

Sicuramente il rookie con cui non è mai riuscito a instaurare un rapporto coach/giocatore tale da poterlo mettere nelle migliori condizioni possibili è D’Angelo Russell, criticato direttamente e no a mezzo stampa, dimostrando pochissima fiducia nei suoi confronti, tant’è che attraverso una dichiarazione dopo pochissimi giorni dall’inizio della stagione, e dopo alcuni exploit della scelta n°4 dei Knicks Kristaps Porzingis, Scott si espresse con una sorta di risentimento, dichiarando di aver sbagliato la valutazione del giocatore lettone in sede di draft. Sicuramente esternazioni che non fanno altro che incidere negativamente sulla tenuta mentale del #1, logorando ulteriormente un’interazione coach/giocatore già molto scadente. Scaramucce quasi continue tra i due, con il rookie accusato dal coach di essere poco presente difensivamente in certi frangenti di partita, ma che subito dopo viene difeso dai compagni, elogiato per la presenza continua in campo. Pareri molto discordanti insomma, che rendono abbastanza chiara la situazione e soprattutto il rapporto che (non) c’è tra Scott e D’Angelo.

Un allenatore non adatto a prendersi le proprie responsabilità in casi di sconfitte anche abbastanza eclatanti, trovando sempre il capro espiatorio svolgendo il classico ruolo di “scaricabarile”, lamentandosi del poco sforzo e dell’insicurezza dei giocatori in campo, riducendo molte volte il tutto a fattori emotivi e mai a fattori cestistici.

A ulteriore dimostrazione del poco tatto nei confronti dei giovani, Byron Scott dopo un mese di regular season li attaccò direttamente, quando affermò che sarebbe stato compito dei ragazzi metterlo nelle condizioni di credere ed avere fiducia in loro, salvo poi, l’8 dicembre  decidere che Julius Randle e Russell sarebbero partiti dalla panchina per cinque-dieci partite (senza informare i diretti interessati in privato, per inciso) per poi effettuare nuovamente dei cambiamenti. Cinque-dieci partite che al giorno d’oggi sono diventate venticinque consecutive, fatte salve le partenze in quintetto di Randle dovute all’infortunio di Nance Jr.

Oggettivo il fatto che queste non siano mosse e atteggiamenti atti a garantirsi una crescita graduale e positiva, anzi, tutt’altro, non fanno altro che incidere negativamente sulla tenuta mentale dei giocatori. L’esempio più lampante è proprio Randle, che ha sofferto moltissimo la partenza dal pino, alternando buone partite ad altre in cui scende in campo con zero voglia; lo stesso dicasi per Russell, che non ha dimostrato una durezza mentale sufficiente a sopperire le carenze del coach. Qualità che molto probabilmente acquisiranno con il passare del tempo e nel momento in cui verranno messi nelle migliori condizioni possibili per esprimersi.

Clarkson sembra indubbiamente quello che risente meno della gestione Scott, soprattutto per solidità mentale. Senza alcun dubbio la steal of the draft dell’anno scorso, uscito dal guscio solamente nella seconda metà di stagione dopo un giro in D-league, ha dimostrato dei miglioramenti incoraggianti, una buona capacità nel leggere le situazioni, e inoltre è tra i più efficienti nella lega ad attaccare dal pick&roll. In un contesto più competitivo potrebbe anche rivelarsi un’arma fondamentale dalla panchina come sesto uomo di lusso; ma queste sono considerazioni che inevitabilmente verranno fatte quando i traguardi da raggiungere saranno diversi dall’ottenere una scelta in lottery.

Quindi, mentre su Jordan ci si può fare già un’opinione, anche se “embrionale”, non ci si può ancora esprimere su Julius e D’Angelo, che a oggi sono comunque delle incognite. Randle sembra essere quello che più di tutti avrebbe bisogno di essere disciplinato cestisticamente: per quanto concerne le letture è ancora indietro, la maggior parte delle volte sbaglia la scelta in fase d’attacco preferendo andare a canestro a testa bassa ignorando compagni ampiamente liberi sul perimetro, preferendo gli isolamenti a soluzioni più di squadra. Le statistiche ci vengono in aiuto sotto questo aspetto, Julius è infatti il terzo giocatore della lega per frequenza di isolamenti (il 22,6%), dietro a James Harden e Carmelo Anthony, ma davanti a LeBron James; ma sono aspetti che, si spera, verranno sistemati con attorno un coaching staff che lo segua passo dopo passo nel suo sviluppo e nel disciplinamento cestistico. Inoltre, voci incoraggianti parlano di futuri allenamenti con Draymond Green, perno del  sistema-Warriors, giocatore perfetto a cui Randle dovrebbe ispirarsi.

Russell è quello da cui ci si aspetta il maggior impatto nel futuro prossimo, la dirigenza ha commentato la scelta con un semplice e forte messaggio: “Un giocatore che non puoi passare”. Quoziente intellettivo cestistico sopra la media, per avere solo 19 anni ha già dimostrato una maturità degna di nota, difficilmente sbaglia una lettura, il talento e le doti di passatore sono sopraffine. Un dato interessante ci dice che i Lakers senza Russell in campo abbiano un offensive rating e un difensive rating peggiore di quando calca il parquet, sintomo del fatto che, direttamente o indirettamente, la squadra con il #1 in campo giri meglio; nonostante quest’ultimo non abbia a pieno il pallino del gioco, ha comunque dimostrato una buona capacità di punire sugli scarichi, in attesa di tempi  migliori in cui potrebbe avere totalmente carta bianca sul campo, decisamente più efficiente a costruire un tiro dal palleggio per se stesso o per i compagni. La weakness al momento è il fisico, ma durante la pausa estiva il carico di allenamenti tipico della offseason Nba dovrebbe aiutarlo a mettere massa muscolare e migliorare in esplosività; inoltre ha un’innata capacità di sapersi comportare nelle sfide punto a punto, una dote che servirà sicuramente nel dopo Bryant.

In un certo senso però, seppur faccia poco piacere dirlo, questa stagione disgraziata qualcosa di buono potrebbe portarla;  infatti, qualora i Lakers riuscissero a chiudere la stagione con almeno il penultimo record le possibilità di ottenere una top3 pick (protetta dai 76ers) aumenterebbero notevolmente, permettendo dunque l’ulteriore aggiunta di un rookie di grande prospetto all’attuale giovane core.

Riuscire a ottenere la scelta sarebbe comunque un grande successo, l’eventuale rookie si aggiungerebbe a una base già solida dal punto di vista delle prospettive. Il nucleo più promettente è sicuramente quello composto da Clarkson, Randle e Russell, ma non devono passare sottotraccia Larry Nance Jr e Anthony Brown. Il primo, figlio dell’ex cestista Larry, nonostante lo scetticismo iniziale ha dimostrato di poter dire la sua in questa lega, mettendoci garra, atletismo e voglia di dimostrare; il secondo in un certo senso è ancora un oggetto misterioso, poiché ha passato la maggior parte della stagione in borghese per poi fare qualche apparizione in D-League. Il debutto in prima squadra non è stato dei migliori, complice anche la scelta molto discutibile da parte di Scott nel farlo esordire contro Kevin Durant, non proprio la condizione migliore. Ha dimostrato di poter essere un consistente tiratore dall’arco e la possibile riserva in ala piccola del futuro prossimo, ma obiettivamente si parla di un campione di partite molto ridotto per poter esprimere un giudizio definitivo o quantomeno parziale, ad oggi.

Tanti sono i punti interrogativi che affliggono i Lakers, giovani sì di grandi prospettive, ma non ancora delle certezze assolute. La dirigenza la prossima estate dovrà cominciare a prendere alcune decisioni che illustreranno in piccola misura il futuro della franchigia; una di queste sarà sicuramente se continuare o meno con l’attuale guida tecnica, necessariamente non si dovrà prendere in considerazione solamente l’aspetto tecnico-tattico, ma anche quello umano, ovvero la capacità di poter comunicare e motivare i giovani permettendone lo sviluppo, aspetto in cui Byron Scott è molto carente, e potrebbe essere la causa scatenante di un suo licenziamento, qualora la dirigenza puntasse realmente sullo sviluppo dei giovani.

Il processo di ricostruzione non passerà solo ed esclusivamente dall’estate 2016, ma per poter tornare nel minor tempo possibile a essere una contender, dovrà necessariamente passare anche dalle mosse della prossima offseason. 

 

T. R. aka Nique_21


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